Non è colpa del virus se marcisce l’insalata

Aprile 2020

Ma ti sembra normale ?
Non puoi comperare un cespo d’insalata croccante dal contadino che sta a pochi chilometri; ma puoi farti portare dei bulbi neozelandesi via Amazon.
Certo che ce ne stiamo a casa; certo che il Governo fa bene a limitare i movimenti… ma tra andare tutti al supermarket oppure andare dove smistano le cassette del GAS (il Gruppo di Acquisto Solidale della tua zona), la seconda opzione è certamente meno pericolosa e più efficace; eppure rischi la multa.

L’economia dei GAS e dei piccoli produttori, perfino adesso, non sono presi in considerazione dal sistema politico. Perfino in questo casino si vede la G.D.O. (la Grande Distribuzione Organizzata) come unico modello di consumo.
Così, mentre al contadino l’insalata croccante marcisce, eccoci tutti in fila all’esterno del supermercato, con le nostre mascherine strampalate, in attesa di poter finalmente comprare un cespo d’insalata chimica e insapore che marcirà da sola in due giorni nel frigo; ma debitamente incellofanata.

Il CoronaWashing

Chiamiamo green washing il marketing che traveste di ecologismo l’immagine di pessime imprese petrolifere, chimiche, agroindustriali… Doppiamente schifoso: perché dimostra la più spietata ipocrisia e perché ruba gli argomenti agli ecologisti veri. Esempio: Enel che fa gli spot con le pale eoliche e l’energia col carbone.
Il trucco funziona anche coi temi sociali, terzomondisti, femministi… sfruttati sfacciatamente per fare entrare il lupo nel gregge, con addosso la pelle d’agnello.
Ora capita anche col Covid19.
Se in una pubblicità sentite la parola “italiani” cambiate subito canale! Se vedete una famiglia che si parla al telefonino o qualche infermiere affranto che si toglie la mascherina e guarda dritto in camera, attenti. Sanno commuovervi, ma non sono vostri amici, restano i soliti produttori di pasta al glifosato, di tariffe energetiche “nere”,  di prodotti agroindustriali comprati ricattando i contadini…
La televisione è per sua natura in combutta con la Grande Distribuzione Organizzata: sono il gatto e la volpe, uno non vive senza l’altro; nemici di negozietti, mercatini, GAS e in generale della P.D.O., la piccola distribuzione organizzata.

Più cervello e meno carrello!

Riassunto delle precedenti puntate: da dieci anni diciamo che GDO, attraverso il marketing televisivo, ricatta i contadini sui prezzi, annienta le biodifferenze, incita al peggiore consumismo, diseduca i consumatori, si impossessa dei nostri stipendi per riempire le discariche di cose inutili usate pochissimo che sperperano in pochi anni tanta materia ed energia quanta il Pianeta ne ha prodotta in milioni di anni.
Dietro quel cespo d’insalata c’è tutto il nostro il territorio, l’occupazione, la salute, l’ecologia planetaria. Riguarda profondamente la felicità di ciascuno.

L’alternativa che già c’è

Una dozzina di anni fa la nostra rete cominciava a formarsi, intorno ai corsi che Marco faceva per tutta la penisola. Così abbiamo conosciuto centinaia di realtà della cosiddetta Altra Economia: GAS,  DES (Distretti di Economia Solidale), piccoli produttori agricoli, artigiani di ogni tipo, lavoratori della cultura e del sociale, editori indipendenti…  Diversi di loro poi sono diventati anche nostri clienti-alleati.

Incontrarci in carne ed ossa è importante. Di solito ci vediamo ogni primavera a Fa’ La Cosa Giusta  di Milano, la grande fiera nazionale del Consumo Critico e degli Stili di vita sostenibili.
Quest’anno siamo anche gli autori della creatività della loro campagna. Avrebbe dovuto tenersi a marzo: ora è rimandata a novembre.
Da quando siamo nati abbiamo seguito anche centinaia di presidi più piccoli (e più conviviali) ma non meno importanti: le varianti di Fa’ La Cosa Giusta a Trento e a Torino,  Fermata Calabria, (#fermatacalabria),  Altra Velocità, i vari Sbarchi Gas, la festa del rugby resistente a Librino… scelti tra tanti, solo con criterio affettivo.

Dal produttore al consumatore e viceversa

Adesso siamo qui, a guardare la primavera dalla finestra. E dobbiamo mangiare.

Ci sono due cose da fare:

  1. trovare dei posti vicini, almeno nelle città, che distribuiscono i prodotti
  2. avere chi ce li porta a casa.

Se appartenete a un GAS già state vedendo qualche tentativo di risposta per correggere le disposizioni. In ogni posto ci sono soluzioni diverse.

Le Galline Felici stanno raccogliendo dei suggerimenti qui.

Sulle autocertificazioni per prendere e dare le cassette, qui ci sono dei moduli, inclusa la comunicazione al prefetto e il famoso codice ATECO (che per i prodotti agricoli e zootecnici porta il primo numero, lo 0.1).

Qui c’è l’Amazon alternativo (ehm… lo definiamo così per capirci, anche se a  loro non piace…) cioè il marketplace on line nato nel mondo dei GAS, che comincia a funzionare.

A Genova ci sono gli amici dell’eco-negozio la Formica. Fanno le cassette e le distribuiscono. Ma, giustamente, possono soddisfare solo un numero limitato e seguono solo i clienti continuativi, quelli che ricevono le newsletter. Per gli altri occorre andare in bottega: essendo una grande città, è facile.

Anche gli amici del Commercio Equo e Solidale del Friuli Venezia Giulia, 15 botteghe che abbiamo aiutato a mettersi in rete, usano la newsletter e il sito per connettere direttamente produttori e acquirenti, non solo dei prodotti fairtrade ma anche il bio locale e della vicina Slovenia. La soluzione è ibrida: ad esempio a Monfalcone ordini la spesa on line e poi vai a ritirarla in bottega.

On line potete anche accedere al negozio di Equomercato, che abbiamo affiancato nell’immagine coordinata e nel packaging. Ci trovate non solo prodotti fair trade ma anche, ad es., la pasta prodotta nel carcere di Sondrio.

Stiamo cominciando in questi mesi a lavorare con la coop sociale Isola di Torino, anche loro ricevono ordini on line e li distribuiscono a domicilio assieme alla coop Baobab.

Molti altri GAS e produttori usano dei gruppi whatsapp, e ovviamente qui non ci possono essere link, ma ce ne sono centinaia in tutt’Italia.
Come vedete, è molto importante essere iscritti a queste newsletter o gruppi: si è capovolta la situazione, prima doveva essere il produttore ad avere credito e fiducia, oggi siamo noi acquirenti che abbiamo bisogno di essere nel novero (privilegiato) dei clienti continuativi.

Adesso ci accorgiamo che comprare “bene” avrebbe dovuto essere un’abitudine radicata.
Dovrà tornare ad esserlo. Nel frattempo, comunque, andate piuttosto nei negozietti.